V5-G1/2/3 • Capolinea
Sono di nuovo in viaggio verso la Tanzania. Secondo la versione già sin troppo revisionata del programma, le vicende della costruzione del VIC sarebbero dovute concludersi già da tempo. L’apertura era programmata infatti per il dicembre 2017 ma nuove circostanze ci hanno costretto a procrastinare. Senza bisogno di entrare nei dettagli, mi limiterò a fare il punto sui principali sviluppi a Mang’ula in questa parentesi di tempo:
Settembre: me ne sono andato dagli Udzungwa mentre Gowa si occupava del pavimento e le porte stavano venendo montate. Tolleravo di buon grado la rusticità della pavimentazione ottenuta con i mattoni locali. Mancavano i vetri per le finestre, i pannelli del controsoffitto e una mano di tinteggiatura esterna, dato che e prove di colore a base di terra non avevano (prevedibilmente!) dato buoni risultati. Sono partito tutto sommato ottimista.
Ottobre: tutto quanto sopra citato va a rilento, salvo il pavimento che viene portato a termine da Gowa con una certa imprecisione che riesco a scorgere dalle poco esaurienti foto che ricevo. In questo periodo è però programmata la missione dei tecnici da Trento e da Copenhagen finalizzata al montaggio degli exhibit e dei supporti multimediali. Considerata la logistica e i biglietti per più persone, la missione non è rimandabile e quindi per circa tre settimane si svolgeranno sul posto moltissime attività. Quasi tutti gli allestimenti vengono messi in opera anche se per sicurezza alcune delle apparecchiature elettroniche più costose vengono disinstallate e portate al sicuro nelle casette dell’UEMC.
Novembre: il management locale del parco tiene una riunione nella quale si sforzano di collezionare quante più lamentele possibile e chiedere di posticipare l’inaugurazione in un irritante e sgrammaticato documento che ci piove addosso inaspettato proprio mentre stavamo organizzandoci per la partenza. Probabilmente la ragione di questa sorpresa va fatta risalire al loro scarso coinvolgimento nel progetto soprattutto nell’ultima fase, sebbene ironicamente il punto di tutte le mie lamentele di questi anni era proprio il mancato supporto che ci veniva fornito tanto che ne avevo perso la speranza. Il principale ma non unico capro espiatorio di tutta questa situazione è stato il pavimento in mattoni, che veniva definito “fuori standard” secondo una scala di aspettative che però non venivano meglio circostanziate. Il pavimento veniva apostrofato dispregiativamente come local.
Dicembre: lo abbiamo passato tra lettere formali, aggiornamento dei budget e i meandri della burocrazia Tanapa ad Arusha. In questo mese c’è un viaggio di Francesco che incontra il direttore generale Kijazi per informarlo degli eventi e per concordare una sistemazione delle cose in termini di tempi e budget. C’è la ricomparsa di Tarimo, il local engineer che era stato assegnato inizialmente al progetto ma che era scomparso dalle fondazioni in poi. Ci sono tanti buoni propositi nei quali conclude che, anche tramite un contributo Tanapa, il pavimento venga sostituito con un’altro realizzato con pietra di Tanga, un materiale abbastanza naturale e locale da costituire un compromesso. Se ne occuperà Tarimo in persona, il quale promette che il lavoro si può fare in tempo e senza pericolo anche se alcuni exhibit sono già installati.
Gennaio: malgrado ripetute email e messaggi Whatsapp incrociati, nulla accade e tutti iniziamo a preoccuparci di nuovo.
Febbraio: eccomi qui in partenza. I lavori sul pavimento sono iniziati solo quatto giorni fa, e quindi troverò i lavori in corso sul posto. Ci sono ancora tantissime cose da fare ma non c’è spazio per sbagliare perché l’inaugurazione è fissata per il 6 marzo e gli inviti ad autorità varie sono già stati diramati: questa volta non si scappa. Molto meglio così in fondo. Scrivo ora dall’aeroporto di Istanbul in compagnia della mia ragazza Elisa che sarà con me in questa quinta missione tanzaniana per supportarmi sia moralmente che materialmente. Arriveremo di buon umore all’inaugurazione! Spero.