V3 – G18/19/20/21 CUT•BEND•WELD
G18_ L’arcobaleno non indicava la fine delle precipitazioni, anzi. È piovuto fortissimo per tutta la notte. Senza luce elettrica disponibile i lampi illuminano ad intermittenza una profonda oscurità. Io resto sveglio in ansia pensando alle murature hydraform esposte ancora una volta alle intemperie senza protezione alcuna. Oggi Silvia e Raimondo partiranno per rientrare in Italia. Quest’ultimo, già sveglio di buon mattino, ha passeggiato fino a Moaha e ne è tornato con una specie di piccoli bomboloni fritti, giusti per la colazione.
Arrivano Pima e Dudu. Andiamo in cantiere tutti insieme per incontrare i local fundi che sono già sul posto. Mi rendo conto che per iniziare la costruzione vera e propria ho impiegato quasi venti giorni di fatica sul posto. Mi rincuoro pensando che tuttavia, con realismo e considerate le molte circostanze di questo progetto, non sarebbe potuta andare diversamente.
Iniziano con i tagli della piastra per realizzare gli ancoraggi degli elementi metallici con il cordolo di cemento armato. Mentre i fabbri eseguono le prove mi intrattengo con Dudu parlando del mercato dell’edilizia locale, delle tipologie abitative ambite dalla gente del posto e dello sviluppo delle città Tanzaniane. Molto interessante.
Raimondo e Silvia partono alla volta di Dar es Salaam a bordo dell’auto Mazingira guidata come sempre da Samson. Io invece passerò il pomeriggio a Mang’ula A nell’officina degli operai, per confermargli le dimensioni delle piastre e la posizione dei fori da praticare sulle stesse. Insomma, finalmente si comincia. Ma solo altri quattro giorni utili da passare qui.
Nella notte piove ancora. Mi pare di non aver mai sentito una pioggia così forte in vita mia, ma l’effetto è sicuramente amplificato dal tetto il lamiera del mio alloggio e dalle fronde degli alberi. Invece che odore di pioggia estiva, il vento trasporta folate che sanno di vegetazione, come di erba e foglie rotte dalla violenza dell’acqua. Penso solo a quei poveri muri.
V19_ Come era prevedibile, oggi è giornata intensa. In cantiere abbiamo gli ancoraggi ormai fatti, e iniziamo a segnare la posizione delle travi. Bisognerà ovviare a tante piccole magagne causate dall’imperizia con cui qualche mese fa è stato realizzato il cordolo sommitale in CA, in mia assenza e mi domando sotto la direzione di chi. Cercheremo di rimediare.
Incontro l’elettricista che lavorerà agli impianti e che ha già predisposto i condotti nel pavimento secondo le indicazioni che avevo abbozzato ormai quasi due anni fa. Abbiamo modo di spiegarci a vicenda: ora ci serve un preventivo di spesa di cui si occuperà lui.
In tarda mattinata ho appuntamento con la nuova park ecologist (mi sembra di constatare che questo ruolo sia svolto molto spesso da donne) per indicargli l’area che ritengo idonea alla costruzione del mercatino. Bisogna ripulire l’area da arbusti e liane salvaguardando gli alberi ai quali cercherò ancora una volta di adattarmi. Lo faranno entro domani.
Torno in ufficio a preparare una lista con nuovi acquisti. Infatti, non è stata ancora acquistata la fatidica decking sheet per il solaio. A quanto pare le lamiere che per anni erano totalmente irreperibili in Tanzania, ora ci sono. Bastava cercarle meglio. Questa circostanza ha prodotto un discreto rallentamento al buon svolgimento della costruzione. Mi domando ancora una volta – dubbio ricorrente in questi giorni – se le cose sarebbero potute essere gestite meglio (da me? da altri?) o se fosse stato semplicemente ingenuo aspettarsi un esito più fluido, e che gli avvenimenti così come si sono avvicendati rappresentino per così dire il migliore dei mondi possibili. Quello che conta comunque, è arrivare al risultato, e che questo sia buono. Mi consolo pensando che il surplus di sforzi serva a rendere più ricca, sul piano formativo, la mia esperienza qui. Sfrutto i contatti whatsapp ormai salvati nel mio telefono per richiedere in prima persona caratteristiche e prezzi. Prepariamo un nuovo ordine di materiali.
Dopo pranzo tagliamo le elevaIoni per l’edificio del seminario. Voglio iniziare da lì (Building 2) perché è più complicato: c’è la reticolare e la copertura nord si intreccia in modo promiscuo con quest’ultima. Se rendiamo chiaro come realizzare questo edificio, l’altro benché più grande può essere portato a termine senza di me. Vorrei avere subito un esempio pratico della griglia di base della reticolare. La struttura di cui parlo è sostanzialmente una “reticolare spaziale” a pianta quadrata che coronerà l’’edificio dei seminari. Il peso è scaricato solo sul cordolo perimetrale e sarà sollevata di alcuni centimetri per non toccare il solaio sottostante disturbandolo con eventuali vibrazioni. Dal punto di vista geometrico essa si sviluppa a partire da una griglia quadrata di base ogni scacco della quale è base di una piramide di altezza diversa. I vertici delle piramidi sono gli incroci della griglia quadrata superiore che costituisce il piano del manto di copertura, inclinato per il deflusso delle acque e per conferire slancio all’edificio.
Secondo il progetto, tutto questo deve essere costruito utilizzando tondini in acciaio piegati e assemblati secondo i disegni da me forniti. In questo caso anche le fasi di costruzione sono importanti, e per questo gli illustro uno schema di come procedere per avere al più presto una struttura sufficientemente rigida da completare con più facilità. Purtroppo la squadra di operai, pur ingegnosi, non dispone di molti mezzi. Guardo perplesso le operazioni di raddrizzamento di una barra che si svolgono con l’aiuto di un fico piantato nei paraggi. Mi assicurano che la barra tornerà dritta e che domani saranno equipaggiati con mazze di dimensioni giuste con le quali eseguire meglio il lavoro, seppur manualmente. Alla luce di questi sviluppi, concordiamo che è meglio rimandare a domani la demonstration di reticolare.
Verso il tardo pomeriggio vado in ufficio a completare i disegni così come mi pare che siano più utili e comprensibili per i carpentieri. Lavoro fino a notte fonda, innervosito dal caldo e dalle zanzare felicissimi di trovarmi fuori dalla zanzariera a quell’ora. Ho una seconda pelle di Autan.
G20_ Alle otto torno in cantiere dove trovo Dudu già operativo che armeggia con una cannuccia dell’acqua per verificare che i cordoli siano decentemente in quota: bene. Non lo sono: male. Illustro a tutti i miei piani per le main trusses della reticolare. Fortunatamente qualche nuvola in transito ci offre occasionale riparo. I carpentieri arrangiano un sistema per piegare le barre a mano, saldando alcuni manicotti di tondino sopra ad un’IPE200. Come sempre appaiono sereni, pazienti e di buon umore, ma anche se non parlo swahili comprendo dai loro discorsi che si stanno interrogando su come procurarsene eventualmente una in prestito. Su questo punto specifico non mi sembrano ottimisti. In ogni caso iniziano a produrre le prime barre ricurve da utilizzare nella reticolare. Le dimensioni sono corrette, ma solo nel momento dell’assemblaggio ci si potrà rendere conto di tutto ed eventualmente adattarsi. Purtroppo io non ci sarò anche se sservo con piacere che sia i fabbri che Dudu iniziano ad essere coinvolti dalla challenge. Sempre basandomi sul mio swahili disneyano capto un “hakuna matata” tra gli scherzi dei ragazzi al lavoro. Io però qualche pensierino ce l’ho se devo dirla tutta.
Mentre aspetto la piegatura di una barra seduto sotto ad un albero, mi morde una formica rossa. Memore dei discori sulle siafu balzo in piedi terrorizzato dall’idea di averne centinaia attorno. Invece no. Una rapida ricerca in internet mi mostra che probabilmente le siafu vere sono ben più cattive della mia formichina, e quindi mi tendo il mio prurito residuo quasi con gratitudine.
G21_ Ultimo giorno di cantiere. Mentre mi appropinquo all’entrata del parco, sento rumor di drilling in lontananza. Hanno iniziato presto a preparare i buchi per le bimu (mi sto affezionando molto alle simpatiche deformazioni dell’inglese dei madrelingua swahili) del solaio. Per avere un riferimento hanno tagliato una fettina di IPE lunga circa 15 cm e la usano come provino.
L’elettricista mi porta una bozza di preventivo per l’impianto elettrico. A occhio mi sembra che stia nel budget. Come gli altri in cantiere, mi è molto simpatico. Mi dispiace molto partire, perché naturalmente essere sul posto rende il lavoro più facile e sicuro per tutti.
Torno a casa a pranzo perché mentre cucino qualcosa devo iniziare a mettere in ordine le mie cose per preparare lo zaino. Colgo l’occasione per applicare alcuni marker alle lesioni della terza casina della foresteria dell’UEMC. La settimana scorsa Francesco mi ha mostrato alcune crepe delle quali non era certo se preoccuparsi o meno, e se sì quanto. Il quadro fessurativo indica chiaramente la presenza di un cedimento fondale che ha portato la piccola costruzione a “spezzarsi” in corrispondenza di uno spigolo. Le fondazioni dei fabbricati in questa zona sono di solito molto scadenti. Invece che fare lavori subito propongo di monitorare l’evolversi della situazione per sapere se la compattazione del terreno sottostante si è esaurita o meno, e per questo i marker che controllerò di nuovo al mio ritorno a Luglio.
Dopo mangiato di nuovo cantiere. Come era prevedibile, quando trapanano il cordolo incontrano spesso le staffe dell’armatura interna. Purtroppo toccherà passarci attraverso. Assisto alla prova di installazione della prima trave. Le procedure di sollevamento sono rocambolesche e secondo me molto pericolose, ma si svolgono in pieno buon umore collettivo. Non credo di poter introdurre alti standard di sicurezza in cantiere, specie quando non sarò presente, e per questo sono un po’ preoccupato.
Discuto con Dudu su come è meglio fare per correggere le colonne montate male. Lui mi propone di modificare la direzione delle travi del solaio nell’edificio del seminario. Sono sempre stato affezionato al primo render interno, ma forse è il momento di fare un passo avanti. Forse non mi dispiacciono nemmeno le conseguenze che questo cambio avrebbe sull’aspetto dell’interno. Dal punto di vista strutturale ha certamente più senso. Purtroppo tra gli errori di realizzazione che ho trovato al mio arrivo qui ci sono anche le dimensioni di questa stanza, che essendo più grande del previsto di 20 cm eccede la luce di 6 metri obbligandoci qualora scegliessimo di introdurre questa modifica, a giuntare le travi che vengono vendute (non a caso) nella lunghezza di 6 metri.
Colgo anche l’occasione di fare una prima prova di pavimentazione esterna utilizzando dei mattoni comuni locali. Vorrei usarli nel piccolo portico dell’edificio espositivo murandoli a secco con sabbia. Faccio una prova e per i miei gusti va già bene. In realtà vorrei metterli a spina di pesce ma non ho (voglia di cercare) uno strumento per tagliarli. Mi sembra comunque che renda l’idea.
Trovo Dudu e Pima seduti sul prato sotto un’albero, ormai amiconi. Mi siedo anche io a chiacchierare del più o del meno. Dò un ultimo saluto al VIC in costruzione. Secondo i piani lo rivedrò col tetto finito. Tanto Dudu quanto gli operai sono introdotti al progetto, e in ultima analisi credo siano affidabili. Ho consegnato loro ogni sorta di disegno e misura, ma dovranno adattarsi alle piccole circostanze di cantiere. Mi sembra che ne siano capaci, ma sarei stato felice di avere ancora qualche giorno a disposizione qui. Li assillerò telefonicamente, lo so già e glie lo anticipo.
Torno alla camera a fare lo zaino, anzi gli zaini. Ho in mente di lasciare molte cose all’UEMC per ritrovarle a luglio. Oltre allo scopo ovvio (non trasportare due volte cose in un viaggio così lungo) ce ne è uno che suonerà assurdo ai più: mi metto un blocco Hydraform sulle spalle e me lo porto a casa! È deciso!