V2 – G5
VIAGGIO 2 – GIORNO 5
Sveglia senza fretta. Malgrado la notte calda, oggi c’è un clima più fresco: meno sole e più venticello. Quindi, dopo colazione, porto il tavolino sotto il mio portico e mi metto al lavoro lì. Sono in attesa della chiamata di Tarimo che, lo dico subito, non arriverà mai. Dopo mangiato, vado al parco a vedere come stanno procedendo le cose. Non trovo nessuno sul posto – è l’ora calda e io in effetti sono sudatissimo già dopo pochi passi al sole che nel frattempo si è fatto vivo – ma buona parte del lavoro di pulizia è svolta. Faccio foto qua e là. Dell’amministrazione, dato che è domenica, neanche l’ombra.
Torno al centre e mi rimetto a lavorare per i fatti miei rassegnato ad aspettare la riunione di domani. Silvia mi comunica che abbiamo un invito a cena a casa del parroco locale con cui lei e Massimo sono stati a contatto nei giorni scorsi per il video-progetto sui bambini di qui. Chiacchierando sotto il portico, si pensa che sia una buona idea realizzare anche un video per promuovere il progetto finanziato dalla PAT, che ha come punto focale la costruzione del VIC. Anche la divulgazione è una parte importante dell’operazione che va portata a termine e questa è un’opportunità di avere del materiale a disposizione, vista la disponibilità di Massimo sul posto. Decidiamo di collezionare un po’ di girato di repertorio, e alcune interviste. In estate si potrà raccogliere altro materiale sull’avanzamento dei lavori. Non è chiaro se è più opportuno in italiano o in inglese. Mi sa che mi tocca.
Alle 19:00 io e Silvia andiamo alla cena dal prete. Questo è un segmento non legato alla costruzione del VIC, ma ormai è chiaro a tutti che mi piace divagare. Imbocchiamo un sentiero al lato della strada che dal centre conduce al parco, e dopo poche centinaia di metri arriviamo alla chiesa. Si tratta di un edificio piuttosto grande – più di quanto aspettassi – realizzato con gli ingredienti tecnologici locali che ormai mi sono familiari: mattoni locali artigianali, capriate in legno dalla concezione gradevolmente corretta e carpenteria approssimata, copertura in lamiera ondulata, colonne tubolari metalliche. Resto incuriosito dalla strana organizzazione della pianta e dell’ingresso. La chiesa è circondata da un basamento riempito di terra contenuto da un muricciolo, con proporzioni simili a quelle del nostro VIC. Mi fa piacere. Il grosso volume principale (contiene fino a 300 persone) è un unico blocco, ma il tetto ribattuto per l’areazione abbozza le canoniche tre navate cattoliche apostoliche romane, e lo stesso fanno all’interno i due filari di colonne che reggono il tetto centrale. Per volumetria e necessità di areazione, ricorda un po’ un fienile ma io la trovo interessante. Sui due lati, i muri in mattoni formano contrafforti per contenere le spinte della copertura i quali proseguono, vedo, fino a dentro al basamento spuntando al di la del muro di contenimento. Il lato est (ovviamente quello dell’altare) è piatto. Il lato ovest invece ha un westwerk tutto suo: un volume più piccolo fuoriesce dal centro della facciata, coperto da una pensilina su tutti e tre i lati liberi. Sopra, la torretta campanaria che svetta. Pare quasi una reception – in effetti c’è una finestrellina in mezzo e può darsi che sia più o meno anche quello – ma intuisco che si tratta della sagrestia. L’accesso alla chiesa, quindi, avviene dalle due grosse porte della facciata a destra e sinistra della sagrestia. Non so se in Africa questa è una soluzione frequente. Decido che questa chiesa di campagna mi piace molto.
Il prete vive in un grosso edificio costruito da una comunità di frati cappuccini svizzeri che ne è proprietaria, ma no cappuccinos are around any more. In quello che doveva essere un refettorio troviamo alcuni divani, la televisione accesa su alcuni melodrammi tanzaniani e una grossa tavola imbandita. Io e Silvia arriviamo sudati a causa della forte umidità di fuori, ma padre John accende subito tre ventilatori: praticamente una burrasca. Arrivano a cena anche Emanuel e Miranda, che collaborano a vari livelli con la gestione del centre. Sono entrambi freschi e ben vestiti di bianco (lui camicia e lei vestitino) e fanno decisamente contrasto con la sciatteria da campeggiatore che posso offrire io. Ottima cena con moltissime cose, tra cui una bottiglia di Dompo un fortified sweet wine rosso prodotto a Dodoma. Dopo mangiato, Emanuel e Miranda ci accompagnano a casa in macchina evitandoci il sentiero ormai oscuro che temiamo essere un sabba di ragni e serpenti.