V1 – G5
Mi alzo, trovo un geko in camera. Che ne sia scappato uno dai tubetti? Maledetto Rasmus! Esco a fare colazione con con Silvia – il bungalow accanto. Digitando il codice *491*01# >> Intenati, investo 10.000 TZS del mio credito telefonico ed ottengo traffico dati illimitato nel telefono per 10 giorni. La linea telefonica funziona in modo più che decente, considerato che siamo in un’area piuttosto isolata e considerate le mie aspettative.
Finalmente vado a fare la mia visita al sito. Per andare al main gate passiamo da un sentiero scorciatoia. La prima impressione è in parte diversa da quanto mi aspettassi. Tutto più “costruito”, incluso il parcheggio. Superato il cancello a forma di enormi ed assurde zanne di elefante incrociate a cui si passa sotto, c’è un largo spiazzo, poi inizia la foresta. Ci sono alcuni edifici: la biglietteria, una gendarmeria, e gli uffici amministrativi che si sviluppano attorno ad un giardino molto curato. Proseguendo dritti la strada inizia a salire e si trasforma nel sentiero principale che conduce alla montagna. All’inizio di questa strada, sul lato destra, sta il sito in cui dovremo costruire il VIC. Attualmente è ricoperto di alberi e vegetazione fittissima, e ci giocano i babbuini. Non riesco a farmi un’idea delle dimensioni o della morfologia del terreno.
Tornando verso il centre, ci fermiamo sotto un capannone Tanapa che è sulla strada e dove hanno recentemente trasportato il macchinario Hydraform che deve stampare i nostri blocchi. Non ho molto da aggiungere se non che è come da foto. Non è ancora funzionante, o meglio è in attesa di revisione da parte di un esperto di cui mi parlano ma che non so ancora chi sia.
Il vialetto della foresteria è fatto esattamente come quello che noi immaginavamo per il VIC, praticamente la stessa texture. Si tratta di mattoni locali prodotti artigianalmente. C’è una questione etico-ambientalista che ruota attorno al loro utilizzo. In questa area le case fatte in mattoni cotti sono oggi molto più numerose rispetto a quelle in terra su telaio leggero di legno, che osservo essere molto diffuse ma solo nei casi più poveri oppure come strutture di servizio agricolo. Chi vuole costruirsi una casa, probabilmente allestirà da sé, qui o lì, la produzione dei mattoni necessari. In moltissimi casi quindi non si tratta di una produzione organizzata che comporta molto spreco di risorse, essendo la combustione in parte basata sulla pula del riso ma anche sulla legna degli alberi che vengono abbattuti senza tanto riguardo. Silvia mi racconta che spesso, data una scarsa attitudine alla pianificazione, molti cantieri restano incompiuti per i soldi che stranamente spendendoli finiscono. I mattoni restano quindi abbandonati a terra a rovinarsi. Comprensibilmente la salvaguardia della foresta, anche e soprattutto dall’azione dell’uomo è la preoccupazione dei naturalisti di stanza qui. Io non so o d’accordo nello scoraggiare del tutto questa questa pratica, che è parte genuina della cultura costruttiva locale, e va salvaguardata anch’essa. Quando la globalizzazione ariverà in modo massiccio anche qui, portando con sé la sovrabbondanza di bisogni e beni provenienti da fabbriche lontane di chi sa dove (si sa di dove) e quindi in sostanza il consumismo, allora secondo me la foresta sarà in pericolo davvero. L’utilizzo di tipo artigianale di una risorsa non può avere un impatto devastante in sé. Concordo però sul fatto che gli abitanti andrebbero sensibilizzati al problema, aiutati nel processo di ottimizzazione di processi e tecnologie. La sperimentazione architettonica serve anche a questo. Sì, credo che il VIC avrà il pavimento in laterizio.
Arrivano i turisti trentini: si tratta di un gruppo di ragazzi liceali che vengono a visitare la zona. Tra le varie attività che hanno allegato al loro viaggio, c’è l’acquisto di alcuni strumenti a beneficio di un anziano fabbro di Mang’ula, tale Babu Simon che vado a visitare anche io. Lui ha inventato degli strani fornelli che costruisce a partire da lamiere riciclate da vecchi barili, il tutto alimentato da pula di riso. Silvia li promuove tra le donne del villaggio attraverso l’associazione Mazingira (ambiente, in swahili) per scoraggiare l’abuso di legname e carbone per cucinare. Insomma si rimane sul tema di cui ho parlato precedentemente. Un fornello è stato acquistato per la moglie dal falegname del villaggio, che ci ha apportato alcune modifiche per comodità. Adesso Babu Simon li produce così: siamo già al 2.0.
Io intanto mi guardo attorno, incuriosito per deformazione professionale dalle capanne rustiche di terra e legno di Mang’ula. Vedo spesso trecce di foglie molto particolari che mi piacciono molto. Magari ci possiamo fare qualcosa di bello? Faccio foto.
Alla sera mangeremo tutti insieme la cena preparata da Mama Miranda con i ragazzi trentini. Loro (e per loro la professoressa responsabile di accomoagnarli) sono comprensibilmente preoccupati dalla provenienza di cibo e acqua e quindi stanno attenti a quello che mangiano. Io lo so da dove arrivano le cose perché ho fatto la spesa, ma non me la sento di rassicurarli.
Silvia mi dice che in zona c’è subbuglio di pezzi grossi perché è in arrivo in zona il presidente della Tanzania Kikwete in persona. Per l’occasione, arriverà da Arusha anche Kijazi, il capo Tanapa, e noi lo incontreremo domani per discutere del supporto pratico all’oparazione da parte del loro ente. Con lui, è in arrivo anche l’ingenere Tanapa che dirigerà il cantiere in maniera continuata. Bene.
Finisco di scrivere, poi dormo se tutto questo sbattere che sento intorno a me si deciderà a smettere. Stupide scimme, scendete dal mio tetto.