V1 – G10
On
by Flavio Ridolfi
Dormo fino a tardi cioè le nove, perché i turisti partono molto presto e non ha senso che io vada lì alle sei solo per fare colazione. E poi, questa mattina non si sentono le musiche evangeliche che altrimenti ossessionano le giornate di tutti qui. Stanotte è tornato Rasmus, ho sentito i rumori nella notte. Mi affaccio per palesarmi e lo incontro. Non è poi così malaccio: è il PhD student danese di Rovero, fa ricerca sui leopardi. Che c’entrano le bestioline morte in provetta allora? Quella deve essere passione.
Mi chiamano dalla cucina per avvertirmi che Silvia ha lasciato detto di prepararmi la lunch box per oggi, notizia che mi mette di buon umore perché non ho molta voglia di incamminarmi per Muhaia con questo caldo solo per acquistare un pugno di riso e due pomodori. Passo sostanzialmente la mattinata in camera a ragionare un po’ sul da farsi e a riguardare i disegni fatti ieri. Non mi tornano alcune misure, e ho difficoltà a stabilire il posizionamento definitivo.
Verso le 14:00, mi decido ad andare a prendere misure: obiettivo alberi. So che non è una scelta particolarmente intelligente perché sarà molto caldo, e perché l’eccessiva luce del sole rende più difficile usare il Disto. In ogni caso, preferisco andare perché mi rendo conto che questa operazione impegnerà molto tempo. Sarà necessario posizionare, in maniera meno sommaria possibile, gli alberi che si trovano sul perimetro del lotto. Questo aiuterà modificare il percorso di ingresso allo scopo di minimizzare gli abbattimenti. Proprio come previsto, trovo sole, caldo, liane con spine, formiche. E il chief of the park, che mi dice che se voglio più tardi mi farà accompagnare alla cava. Per misurare gli alberi mi cimento in trilaterazioni più o meno ardite. Probabilmente disegnerò a caso i diametri dei fusti, ma non è detto. A parte il barcaminarsi tra gli arbusti per tutto il tempo, mi pare che le operazioni procedano decentemente, soprattutto grazie alla funzione di puntamento del D5 che mi fa sentire un po’ un cecchino. Con le trilaterazioni, sto cercando di ricostruire gli spazi risalendo lungo lo stradello di nostro interesse, su un lato del quale sorgerà il VIC. Se andrà bene continuerò oggi fino a definire planimetricamente l’intera area ormai quasi del tutto disboscata, altrimenti mi fermerò agli alberi lungo la strada, nell’intenzione di riportare le misure al CAD in serata e poi continuare meglio il giorno dopo su una base più affidabile. Ogni mattina ridisegno sulla moleskine il lotto per come ormai lo conosco; ogni volta affino le proporzioni degli spazi ed evidenzio gli interrogativi residui, che purtroppo sono sempre troppi. Sono alla terza versione e domani ci sarà la quarta.
Quando vedo che le formiche stanno correndo frenetiche sulle mie scarpe, decido che assolutamente per oggi è abbastanza. Non ho definito l’intero lotto ma ho un sacco di numerini scritti sul disegno, abbastanza da non capirci più niente se continuo.
Sporco e sudato, decido di non aspettare nei paraggi per andare alla cava ma di andare invece a riposare chez moi. Tanto hanno il mio numero. Invece, mi chiama il chief con un discreto tempismo. Con il grosso fuori strada Tanapa, sul quale sono già salito due o tre volte negli ultimi giorni, mi accompagnano a vedere la cava di pietra. Di certo, questo materiale ci servirà per i muriccioli di contenimento dello zoccolo basamentale su cui il VIC deve essere costruito, e probabilmente come riempitivo per il vespaio che si è sostituito al gattaiolato. Tarimo mi ha proposto di realizzare il muro di fondazione in pietra invece che con gli Hydraform. Un po’ tutti i Tanzaniani, infine, vorrebbero che la utilizzassimo per la pavimentazione (se proprio deve trattarsi di una roba naturale).
Per quanto riguarda i muriccioli contenitivi, sono curioso di conoscere la pezzatura che può essere fornita. Sceglieremo poi se optare per un muro a secco con o senza gabbione metallico, o cos’altro. voglio anche sapere se c’è la possibilità di tagliare i blocchi, o addirittura avere elementi di forma particolare (per esempio le soglie per porte e vetrate). Fare i muri di fondazione in pietra può essere una buona idea, sebbene tra BTC e pietra il materiale più sostenibile sia il primo. Concordo però con le preouccupazioni sulla durevolezza avanzate da Tarimo. Sebbene Hydraform dica (e documenti) che i loro blocchi vanno benissimo anche per essere usati sotto terra, non avendo esperienza diretta né testimonianza di nessuno che sia l’azienda stessa che li vende sono perplesso, tanto più in un conesto climatico di questo tipo, tutt’altro che secco ed arido. Per quanto riguarda il pavimento, tutto sta a sapere se si possono avere delle lastre, o scaglie, della dimensione giusta e sufficientemente piatte da almeno un lato.
Raggiungiamo la cava, che si trova lungo la strada che corre ai piedi dei monti Udzungwa delimitando i confini del parco, a solo un chilometro o due dal nostro sito di costruzione. Bene. Gli abitanti di un piccolo agglomerato di case che sorge a cinquanta metri dalla cava passano le loro giornate scavando attorno ai massi che affiorano dal terreno. Poi ci accendono dei fuochi attorno (col calore la pietra diviene più facile da spaccare) e la picconano. Su richiesta la frantumano tanto o poco, rigorosamente a mano, e fanno mucchi di diversa pezzatura, dai 30-40 fino ai 4-5 cm. Mi dicono che lì nessuno taglia niente, e qualunche cosa venga richiesta sarà fatta a mano. Non mi pare il caso di immaginarmi alcuna muratura ciclopica perfetta, no. Una superficie piatta da pavimento è al limite plausibile, ma non so a che prezzo.
Diversamente da quanto mi sarei aspettato in un luogo del genere, c’è un’atmosfera molto distesa. Uomini e donne di varie età lavorano apparentemente senza fretta. I bambini giocano nei paraggi, o fanno il bagno nel ruscello pochi metri più in là. Per questa ragione, il lavoro piuttosto umile che svolgono non mi trasmette, come osservatore, una sensazione negativa. Mi fa pensare a qualche lavoro collettivo agricolo che coinvolga una comunità, come da noi non ce ne sono più: ad esempio una vendemmia o una mietitura. Credo di aver capito che gli abitanti paghino una licenza per poter estrarre, e che abbiano fondato il villaggio praticamente sul posto a questo scopo. Forse è questo che incentiva la mia percezione collettivista. Non vedo ghiaia vera e propria. Ma suppongo che più li paghi e più martellano.
Torno a casa e faccio la doccia perché è davvero l’ora, e intanto lavo i panni nel secchio.
Vado a cenare al Twiga, e siedo solo nel mio solito gazebo con su scritto Mikumi. Ognuno dei tavoli con gazebo nel giardino del Twiga porta infatti il nome di un parco nazionale. Non sono mai stato agli altri altri, e non pianifico di andarci mai.
Ormai che il servizio è molto lento, ma sono venuto qui di proposito: mi piace l’idea di usare il tempo di troppo per scrivere queste note.
Mentre scrivo sulla tastiera dell’iPad, tutti gli insettini dei paraggi credono che la festa sia lì e rischiano la vita in continuazione tra la e e la r. Omg: un geco mi caga su una spalla, mentre se ne passeggia tranquillo su una trave del gazebo! Il genere di cose che non ti aspetti. Fortuna che rimbalza via senza sporcare più di tanto. Comunque grazie alla lentezza del servizio non ho ancora il piatto a tavola, ed il danno è minimizzato.